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Julio Anguita Parrado
Giornalista (Córdoba 3 gennaio 1971-Baghdad 7 aprile 2003)

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Di ritorno dal nostro ultimo viaggio insieme, a Miami, il febbraio del 2003 fummo costretti da una tempesta di neve su New York a fare una tappa forzata di due giorni ad Atlanta. Decidemmo di approfittare di quella coda di vacanza e la prima cosa che Julio propose di fare fu di visitare la sede centrale della CNN. Non credo che gli interessasse particolarmente; di redazioni televisive Julio ne aveva già viste tante e in qualcuna aveva anche lavorato. Julio voleva farmi capire qualcosa, mostrandomi quelle decine di giornalisti che si muovevano freneticamente da una postazione all’altra e che noi, bravi turisti, osservavamo come se fossero stati pesci in un acquario. Alla fine mi chiese se adesso avevo capito perché doveva comunicare costantemente, minuto per minuto con Lucia, Pilar, Lidia, Juan, Mercedes, Isabel, Ana, Albert, Barbara e tutti gli altri. Anche se lavoravano tutti per giornali e compagnie diverse, erano la sua redazione allargata, nel soggiorno di un piccolo appartamento del Village. Più che dell’esclusiva (io ero convinto che l’esclusiva fosse il fine ultimo del giornalista e in particolare del corrispondente) Julio era preoccupato di comunicare, di confrontarsi con persone che stimava. Anche in viaggio per l’America (e credo che nei sei anni in America Julio abbia visitato tutti gli angoli di questo paese sconfinato che lo affascinava e lo irritava allo stesso tempo) Julio non andava quasi mai solo. La scusa ufficiale era che non aveva la patente e che un collega serviva per guidare, mentre lui era un navigatore impeccabile con un senso dell’orientamento innato. In realtà, spesso si affiancava a Idoya, anche lei senza patente, e anche con lei arrivavano, un po’ con mezzi pubblici e un po’ con l’autostop, dove dovevano arrivare. L’importante era portarsi dovunque un pezzo della sua ‘redazione allargata’.

Per ridere dicevo a Julio che ero il suo producer gratuito perché sempre commentava o discuteva con me gli articoli che stava scrivendo o mi chiedeva cosa pensassi di un’idea che gli era venuta per “testigo directo”, la prestigiosa rubrica di ultima pagina del Mundo che era la sua preferita da scrivere. Ma mentre era molto prodigo di dettagli in fase di ricerca e di scrittura dell’articolo, una volta che l’aveva spedito al giornale se lo lasciava alle spalle e non credo di essere mai riuscito a farmi leggere da lui qualcosa che aveva già spedito. “Es una tonteria” rispondeva alla mia richiesta di leggere le sue cose. E così me le leggevo online oppure aspettavo che rincasasse da uno dei suoi incontri regolari con Carlos Fresneda. Tornava sempre con un malloppo di copie del Mundo con i suoi articoli che ancora profumavano di stampa, arrivati freschi dalla Spagna, ma li metteva subito da parte e preferiva raccontarmi i progressi dei figli di Carlos e Isabel: Miguel e Alberto che lo aspettavano per giocare con lui come con un coetaneo. L’articolo, una volta scritto non gli interessava più, Julio era già proiettato verso la storia successiva. Era consapevole del suo valore di giornalista e ci restava male quando non si sentiva dato il giusto riconoscimento dai suoi capi, ma era veramente giornalista perché non indugiava sul passato, neanche sul passato del giorno prima, a meno che non fosse rilevante per la storia del giorno stesso, di domani.



[continua]


Julio vestito da Cowboy, Grove St. NYC, Halloween, circa 2000
 

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